ΟΛΟΚΛΗΡΩΤΙΣΜΟΣ ΚΑΙ ΔΙΕΘΝΗΣ ΦΑΣΙΣΜΟΣ (Totalitarismo e fascismo internazionale )
Invece del corporativismo, con la sua esigenza d'organizzazione molteplice e snodata di categorie, avemmo il « totalitarismo », furiosamente accentrato: monopolitico. Tutto d'un pezzo.
Invece del corporativismo, con la sua esigenza d'organizzazione molteplice e snodata di categorie, avemmo il « totalitarismo », furiosamente accentrato: monopolitico. Tutto d'un pezzo.
Le cose sono conseguenza dei nomi, e non viceversa? Sarebbe tentato di crederlo chi, non avendo delle cose seguita la lenta mutazione, ne percepisce la novità solo attraverso un vocabolo nuovo, che all'improvviso va per la bocca di tutti. Dove si diceva « fascista » o « corporativo », si cominciò a dire « totalitario », senza che ci si rendesse conto di quanto la nuova definizione comportasse di rinuncia ideologica e di pratico deviamento dall'originaria qualità associativa del moto. In parte, quella rinuncia, già consumata e riflessa in quella definizione ormai corrente; in parte, da essa occasionata e accentuata. L'adesione al Fascismo perse ogni carattere volontario, per assumere un carattere grettamente anagrafico.
Non si vorrà, per certo, ridurre tutto a una questione di parole. Ma, più che a semplice orecchiamento imitativo, deve attribuirsi a segreta insofferenza per le più libere e sciolte forme dell'associazione politica e sociale il fatto che il totalitaire, dai francesi escogitato a definire, soprattutto, il massiccio nazismo (e che è, del resto, un barbaro neologismo anche in gallico idioma), passasse senza pagar dazio nel nostro gergo corrente. Prima di noi se n'erano impadroniti i tedeschi, ghiotti, nonostante tutto, di piccanti francesismi: e s'intende, che per essi la definizione calzava a pennello con la loro, dichiarata diffidenza pel corporativismo italiano. Per noi fu una partita di giro; e, mentre davamo la caccia ai più innocenti francesismi, accettammo pari pari questo, che ci veniva sotto specie germanica. Così il mondo politico ci apparve diviso in due zone: totalitaria e antitotalitaria.
Non è solo, ripeto, un dramma verbale. E' con l'introdursi della parola « totalitarismo » nel linguaggio, della propaganda dapprima, dell'elaborazione dottrinaria poi, che la decadenza di quel senso d'organico, di vario, di compaginato dell'unità, che gli aggettivi « fascista » e « corporativo » portano in sé, prende un nome preciso. E noi divenimmo provincia d'un totalitarismo, estraneo alle originarie ispirazioni del nostro movimento ideale. Ci trovammo tra i piedi tutti i « duci » e i « Fùhrer » dell'universo mondo, in fregola autoritaria. Divenimmo i gerenti responsabili d'una reazione che si pretendeva rivoluzione. Ci bastò che un caperozzolo qualsiasi si battezzasse «autoritario », per considerarlo autorevole: e Roma divenne la Mecca di tutti gli aspiranti dittatori, dei vari Mosley e Mussert e Degrelle; e via dicendo.
Dirizzone, invero, vecchio. Già in alcune mie pagine del '25 trovo la prima espressione dell' animo preoccupato, con cui lo seguivo nei suoi primi svolgimenti. Fu, infatti, in quell'anno che il Gran Consiglio si pose il problema, che fu detto, con termine assai improprio e pericoloso per i fraintendimenti cui si prestava, della « internazionale fascista ». Camillo Pellizzi aveva dato, da Londra, l'allarme: « Che finalmente anche i nostri dirigenti romani s'accorgano potervi essere un senso e una funzione universali nel Fascismo, è cosa destinata a far piacere a noi esuli, a noi sentinelle avanzate, che sentimmo questa verità quasi per una sensazione epidermica, e questa verità cercammo di divulgare fra i nostri compagni di fede fino da mesi e anni addietro. E' per noi cosa lieta il notare che, finalmente, anche nella Roma fascista ci s'accorge del'esistenza d'un mondo al di fuori dei confini italiani. Ma preferiremmo che questo primo risvegliarsi ad una più ampia realtà non fosse .immediatamente contrassegnato da una gaffe. Perché è proprio una gaffe il gridare per le gazzette del mondo: — Ora ci poniamo a discutere il problema del collegamento di tutte le correnti fasciste in tutti i Paesi "[1]
E io, di rincalzo, avvertivo che tutto ciò che, allora, si scriveva sul valore universale del Fascismo in sé, come idea e dottrina soprattutto, poco o nulla s'attenesse a considerare, nella loro concretezza, i cosiddetti « fascismi » stranieri, da quello inglese, per esempio, a quello rumeno, da quello tedesco a quello spagnolo, sull'essenza dei quali s'avevano ragguagli assai vaghi, soltanto giornalistici.
Due, si diceva, sono gli aspetti della questione: con l'uno noi tentiamo di penetrare il Fascismo nel suo valore sostanziale di pensiero, di morale, di volontà nuova, e! cerchiamo di rintracciarlo nelle sue ripercussioni più vaste, lontane, inaspettate, nel pensiero, nella morale, nella volontà d'altri popoli viventi in regimi anche diversissimi, almeno nel nome e nell'apparenza, da quello che il Fascismo è in via d'attuare in Italia; con l'altro noi studiamo i movimenti politici europei e non europei, simili al nostro per certe conformità esteriori d'organizzazione e di programmi, e ci sforziamo di giudicare se e quanto e come possono collegarsi e unificarsi.
Ed era proprio il secondo aspetto a destare in noi diffidenza e preoccupazione. Non solleticava affatto il nostro orgoglio di fascisti il.fatto che i somatcn spagnoli di quei tempi marciassero nella medesima formazione dei nostri militi, o che gli orjunassi jugoslavi indossassero la camicia nera con tanto di teschio e pugnale, o che i gregari dei fascia nationala romana salutassero, come noi, col gesto dei legionari; o, ancora, che i fascisti inglesi perfezionassero la beffa dell'olio di ricino, usando contro i loro avversari gas pestiferi. Noi ci domandavamo: che cosa, sotto l'apparente simiglianza, ognuno di questi movimenti rappresenta nella storia del suo Paese? E un esame profondo e rigoroso ci portava a concludere per alcuni all'irriducibile diversità, per altri ad una precaria e provvisoria concordanza di motivi di lotta, per altri ancora a una parziale armonia di cause e di effetti.
Il disegno d'internazionale fascista, concepita com'unificazione, oltre le frontiere, dei vari « fascismi », si riduceva, quindi, al nostro esame, a proporzioni assai modeste, non parendoci possibile, né utile alla genuinità del nostro movimento, convogliare nella medesima corrente di pensiero i più disparati e contrastanti propositi. « Il Fascismo italiano — ammonivamo — non deve e non può diventare il comun denominatore dei più diversi istinti di reazione che fermentano nel mondo... » [2]
Venendo ad anni, nei quali il più vasto impegno internazionale già si delineava con maggiore evidenza, e precisamente al '33, avendo Mussolini nel suo messaggio per il XIV anniversario della fondazione dei Fasci proclamato: « ...le nostre parole d'ordine valicano le frontiere: la nostra dottrina è ormai universale», noi correvamo ai ripari contro subodorate amplificazioni propagandistiche d'un concetto da prendersi con un abbondante grano di sale. Perché era, quella, ammissione di tal sorta da influire profondamente sull'ulteriore corso della nostra azione politica.
Non sono soltanto le dimensioni di questa, pensavamo, che variano in ordine di grandezza; sono.le sue stesse'qualità, il modo, cioè, e lo stile, del suo svolgimento, che mutano, salendo a maggiore sfera. Un moto rivoluzionario deve, trasferendosi da un popolo ad altri, raffinare e rafforzare la sua capacità di convogliare ad una meta comune moti diversi, talora dissimili, anche se generati dal medesimo impulso. La stessa rivoluzione fascista, nella sua portata interna, aveva dovuto passare attraverso l'esperienza dei vari fascismi provinciali o regionali, da nord a sud pressoché incomparabili, di movimenti cioè determinati da condizioni diverse, prima di confluire nell'unità romana. Valicando le frontiere, lo stesso problema le si poneva: di marciare dal particolare al generale, ma in un quadro molto più grande, che esigeva acutezza di sguardo e scaltrita sensibilità. Anche sul terreno internazionale, specialmente su di esso, il Fascismo aveva a diffidare, con intransigenza avveduta e tempestiva, dei fascismi o filofascismi improvvisati, di dubbia lega, e attenersi a effettive identità, ideali e pratiche.
Per parecchi anni l'apologia internazionale del Fascismo s'era ispirata a motivi di reazione e restaurazione. Quel che per noi era autorità diventava, per i nostri ammiratori stranieri, tirannìa, sia pure illuminata; e un'eguale deformazione subivano i nostri concetti d'ordine, di disciplina, di gerarchia. Quasi senza accorgercene eravamo noi stessi restati impigliati nelle reti di molti pescatori di frodo. Mentre avremmo dovuto rendere ben chiaro a tutti, che il Fascismo era venuto ad operare nella crisi dello Stato moderno, con una sua critica attiva, innovativa, rivoluzionaria e costruttiva, che lo trasforma in alcuni princìpi dominanti, in alcuni rapporti essenziali, in alcune misure e proporzioni della sua funzione, senza ricondurlo, con assurdi rovesciamenti, a concezioni superate per sempre; e che voleva operare su di una linea d'avanguardia, e non già battere le retrovie della storia.
Era in noi come un presentimento della confusione ideologica, che avrebbe poi dominato l'Europa di lì a pochi anni, a cominciare dalla guerra civile spagnola. « Non tutte le democrazie — scrivevamo — si presentano all'azione fascista nella medesima impostazione. Non esiste la Democrazia: esistono le democrazie, di vario grado e di varia età. Nell'affrontarle, una per una, il Fascismo avrà un comportamento appropriato. Vi sono democrazie, che contengono in sé, per lo meno allo stato iniziale, principi e norme che un'azione ben condotta può utilizzare ai propri fini. Basterebbe ricordare qualche passo dell'ultrademocratica e giovane repubblica spagnola o della più stagionata repubblica nordamericana (omissis). Si può fare il caso contrario: di regimi che spacciano falsa carta fascista, torchiata alla macchia da qualche generale disoccupato 0 da qualche ex-presidente in quarantena. Ve ne furono nel passato; ve ne possono essere da un momento all'altro, in questo sommoversi di tutte le costituzioni. E' il quarto d'ora delle dittature, di destra o di sinistra o di centro; poliziesche o clericali o plutocratiche. Tutte cercano il comun denominatore in Roma. Ma Roma conosce da secoli questa roba, questa merce d'occasione; e non compra. Le sue dittature non furono mai una vacanza del diritto; ma un rifiorire del diritto, mondato delle sue scorie, restituito alla sua funzione regolatrice e ordinatrice (omissis). Neil'intraprendere il cammino nel mondo queste distinzioni fondamentali possono servire quali direttive di marcia. Bisogna lavorare nella realtà europea di oggi con un senso realistico spregiudicato per costruire la realtà europea di domani (...) ».[3]
C'era, insomma, anche a restarsene su di un terreno esclusivamente ideologico, e a voler considerare solo in termini d'ideologia la nostra politica internazionale, una distinzione da fare tra le forme più grossolane del Fascismo, troppo facilmente riproducibili, e quello che fu chiamato il « fascismo involontario », reperibile piuttosto neh' essenza d' orientamenti sociali ed economici degli Stati moderni. Così m'era possibile, pur tenendomi a un metodo rigorosamente scientifico, ricercare certi sviluppi dell'idea corporativa nella legislazione internazionale,^ e fare un non arbitrario parallelo tra la cosiddetta Carta internazionale dèi Lavoro (Parte XIII del Trattato di Versaglia, articolo 427) e la Carta italiana del Lavoro,[5] mettendo in luce connessioni e rapporti dottrinari e giuridici, dimostranti a piacere o la democraticità del Fascismo o la fascisticità delle democrazie. Per una di queste, anzi, l'americana del periodo rooseveltiano del New Deal, il raffronto poteva esser condotto per considera zioni ancora più strette.[6]'
Ma nel coro totalitario le nostre voci stonavano maledettamente; e i fischi divennero contumelie, quando osammo, in piena Sorbona, contaminare la rivoluzione fascista con la rivoluzione francese, concludendo un nostro discorso con queste affermazioni scandalose: « Lo Stato corporativo è la sola soluzione dei problemi della vita contemporanea, è la forma verso cui tende la sostanza sociale del mondo moderno. Esso deve, dunque, fatalmente essere l'erede e l'assuntore di tutta la storia moderna, che nel suo corso politico e nei suoi ordinamenti giuridici è una conseguenza della rivoluzione francese ».[7]
Apriti cielo! Le oche capitoline misero denti e ci morsero a sangue. Quest'opera di revisione e di critica, volta a immettere il Fascismo nella circolazione del pensiero moderno, a farlo considerare nel mondo una delle sue correnti più vive e attuali, a staccarlo decisamente dalle rimuginazioni più retrive, appari va una diabolica invenzione. La pietra tombale del totalitarismo premeva sui nostri petti.
ΥΠΟΣΗΜΕΙΩΣΕΙΣ:
[1] « L'Epoca », Roma, 24-I-'25, L'internazionale fascista.
[2] Giuseppe Bottai, «Pagine di Critica Fascista», a pagina 411, L'Italia e i fascismi all'estero.
[3] «Critica fascista»: I-IV-'33: Domani una realtà europea.
[4] Giuseppe Bottai, «Esperienza corporativa - 1929-1935», Vallecchi editore, Firenze, a pagina 643, Sviluppi dell'idea corporativa nella legislazione internazionale.
[5] Giuseppe Bottai: La Carta Internationale del Lavoro e la Carta Italiana, edita a cura delia Università Commerciale Bocconi, Milano MCMXXX.
[6] « Foreign Affair», July 1935, voi. 13 N". 4, a pagina 612, State intervention fin economie. Corporate State and N.R.A., by Giuseppe Bottai.
[7] Giuseppe .Bottai, « Esperienza Corporativa - 1929-1935», a pagina 609, 613, Dalla rivoluzione francese alia rivoluiione fascista.
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