Δευτέρα 21 Μαρτίου 2011

ΟΙ ΠΡΩΤΟΙ ΜΗΝΕΣ ΤΗΣ ΙΤΑΛΙΑΣ ΣΤΟΝ Α.Π.Π

I primi mesi di guerra 
Le operazioni militari incominciarono immediata­mente su vasta scala in settori limitati del fronte a causa delle difficoltà geografiche in cui l'esercito italiano si trovava ad attaccare. Mentre il versante austriaco era contornato di valli che portavano alla frontiera, il ver­sante italiano opponeva una sorta di antemurale natu­rale lungo cui era impossibile passare. L'attacco era possibile solo in due direzioni: o a nord, lungo il Trenti­no, in direzione del Tiralo, o a sud-est, sull'Isonzo, in direzione di Trieste. Cadorna scelse questa seconda so­luzione e, consapevole della momentanea superiorità numerica di cui godeva, lanciò all'attacco lungo la linea dell'Isonzo il grosso delle truppe. L'esercito italiano al momento dell'attacco disponeva di 35 divisioni, alcune malamente armate e con quadri incompleti, ma, tutto sommato, pari a circa quattrocentomila uomini, contro appena 14 divisioni austriache forti di centomila uomi­ni. Di conseguenza Cadorna tentò di sfruttare la supe­riorità iniziale e sferrò una serie di attacchi in forze che però non raggiunsero i risultati sperati. Le difficoltà naturali erano praticamente insormontabili e a queste si aggiunsero le potenti difese nemiche che necessitavano di relativamente pochi uomini per fermare grandi mas­se di attaccanti. Nel primo mese di guerra l'esercito italiano, già a prezzo di notevoli sacrifici, aveva ricac­ciato indietro gli avamposti più avanzati dell'esercito austriaco ed aveva raggiunto la linea dell'Isonzo, tranne che a Gorizia e a Tolmino. Ma la principale linea difen­siva austriaca non fu sfondata in nessun punto e resi­stette molto bene agli attacchi italiani.Cadorna, allora, per evitare che le difese austriache si rafforzassero con le truppe fresche che stavano af­fluendo dalle retrovie, fra il 23 giugno e il 2 dicembre sferrò quattro poderose offensive sull'Isonzo che ebbe­ro il solo effetto di far attraversare il fiume nei pressi della foce e di far attestare le truppe lungo le pendici del Carso. La fanteria, su cui, dato il terreno, gravava il peso delle operazioni, a dispetto della poca preparazione e della scarsissima professionalità, si comportò magnifi­camente dimostrando spirito di abnegazione e di sacri­ficio1 , ma ciò non fu sufficiente a superare le difficoltà immense di un fronte difficile i cui limiti naturali, come si è detto, erano un ostacolo pressoché insormontabile per una guerra tradizionale. Tuttavia furono conquista­te delle posizioni migliori delle precedenti e su molte cime furono costituiti capisaldi e fortificazioni. Questi risultati, però, erano estremamente scarsi rispetto alle perdite in uomini e materiali che l'esercito italiano ave­va subito: dopo sette mesi di guerra non erano stati conquistati che pochi chilometri di frontiera e, in com­plesso, non si era avuto nessun risultato determinante. Un'estenuante guerra di posizione aveva subito fatto seguito ai primi tentativi di movimento da parte italiana, anche perché l'armamento era al di sotto dello standard normale di un esercito moderno. Soprattutto l'artiglie­ria non era all'altezza del compito, sia per mezzi impie­gati sia per volume di fuoco, la cui insignificante poten­za era dovuta soprattutto allo scarso munizionamento. In conclusione il bilancio del primo anno di guerra fu fallimentare sotto ogni aspetto e specialmente dal punto di vista dell'elaborazione di una strategia di attacco che,in base ai piani di Cadorna, immobilizzò l'esercito in sanguinose sterili battaglie sul fronte dell'Isonzo [2]. Uno degli errori che commisero Salandra e Sonnino fu quello di dare l'impressione che l'Italia stesse com­battendo una sua guerra privata contro l'Austria-Ungheria. Era un'impressione falsata dalla prospettiva stessa del fronte europeo, ciò nonostante determinò un raffreddamento dei rapporti con gli Alleati. Un primo elemento di attrito fu la costante polemica fra l'Italia e la Serbia, la quale, per evitare di logorare il proprio esercito, evitò di attaccare l'Austria, come stabilito dagli Stati Maggiori alleati, per aiutare la Russia (gli Italiani attaccarono sull'Isonzo e gli Anglo-francesi fecero la loro parte nell'Artois e nella Champagne). Non manca­va, nella determinazione serba a venir meno ai patti, una diffusa preoccupazione di favorire in questo modo un probabile insediamento italiano in Dalmazia e di con­seguenza essa si mosse solo per entrare in Albania, coadiuvata in quest'azione dal Montenegro che occupò a sua volta Scutari. L'Italia protestò non solo perché nelle more della polemica la Serbia aveva occupato l'Albania che sapeva essere precipuo interesse italiano, ma soprattutto perché ciò consentì all'Austria di spo­stare ingenti quantitativi di truppe sul fronte italiano. D'altro canto questo atteggiamento passivo della Serbia creò un tale stato di tensione fra gli Alleati da non con­sentire la creazione di un compatto fronte anti-austriaco nei Balcani, che poteva peraltro realizzarsi non'solo appianando i contrasti con l'Italia, ma creando una co­mune intesa con Grecia, Romania e Bulgaria a cui la Serbia si rifiutava di cedere territori se non fossero pri­ma stati decisi compensi nelle province slave dell'Au­stria. Questa frattura fu fatale alla Serbia: il 7 ottobre gli Austro-tedeschi, coadiuvati dalla Bulgaria, attaccarono sul fronte serbo sbaragliando in poche settimane ogni resistenza e spingendo i resti dell'esercito serbo verso l'Adriatico dove la maggior parte fu messa in salvo da navi italiane. Alla fine di novembre la Serbia fu com­pletamente conquistata e in gennaio le truppe austria­che occuparono tutta l'Albania settentrionale, Scutari e il monte Lovcen. Per la sospettosa politica della Serbia l'Austria aveva acquistato enormi vantaggi militari nei Balcani mettendo in pericolo la sicurezza dell'Italia. Il secondo fondamentale motivo di contrasto fra l'I­talia e gli Alleati riguardava la mancata dichiarazione di guerra dell'Italia alla Germania, come invece era stato fatto nei confronti della Turchia e della Bulgaria, raf­forzando negli Alleati la convinzione che l'Italia stesse combattendo una sua guerra particolare con l'Austria. Questa determinazione di Salandra, invece, rispondeva a due ordini di motivi: in primo luogo il Parlamento aveva votato la guerra contro l'Austria e non contro la Germania, sebbene il Patto di Londra prevedesse che l'Italia s'impegnasse ad entrare in guerra contro gli Im­peri Centrali (circostanza questa che il governo aveva taciuto); in secondo luogo Salandra temeva che dichia­rando guerra alla Germania una parte dell'esercito te­desco venisse impiegata anche sul fronte italiano alterando l'equilibrio delle forze. Questo atteggiamento se aveva degli elementi positivi ne aveva anche altri nega­tivi: oltre ad acuire i sospetti degli Alleati, esso determi­nava uno stato d'animo di disimpegno nei confronti dell'Italia tendente sempre più a considerare il fronte italiano come marginale rispetto al più ampio e più importante obiettivo del settore francese. In conseguenza di tutto ciò l'Italia fu come isolata nel contesto delle operazioni e soprattutto dei rifornimenti, divenuti indispensabili per il prolungarsi della guerra. Di contro l'Italia si sentì umiliata e offesa da questo atteggiamento di distacco e di noncuranza con cui gli Alleati erano portati a considerare l'entità senza dubbio non trascurabile dello sforzo bellico italiano. Allo scadere del primo anno di guerra il morale del­l'esercito italiano, nonostante i soldati avessero ormai capito che la guerra sarebbe stata lunga, era abbastanza alto. La potenza di fuoco delle truppe era stata notevol­mente aumentata a causa del raddoppio degli arma­menti pesanti e degli automezzi. Il numero delle mitra­gliatrici era stato moltiplicato per sette e le divisioni in campo erano aumentate da 35 a 43. Tuttavia il 1916 fu un anno denso di preoccupazioni e di pericoli. Gli eserciti tedesco ed austriaco avevano ripreso l'iniziativa sul fronte francese e su quello italiano e la quinta offensiva lanciata in marzo da Cadorna sull'Isonzo, per alleggerà re il peso del poderoso attacco tedesco su Verdun irti-;' ziato in febbraio, ebbe come al solito risultati trascu­rabili. Tuttavia il peggio si stava preparando. Lo Stato Mag­giore austro-ungarico aveva elaborato un piano di at­tacco contro l'Italia che passava per il Trentino ed aveva lo scopo di eliminare completamente gli Italiani dal conflitto. Conrad aveva insistito per coinvolgere i Te­deschi, ma questi avevano preferito attaccare a Verdun e non impegnare un'offensiva di grandi proporzioni in un settore marginale del fronte come appariva quello italiano. Prese pian piano corpo allora la famosa Strafexpedition, la spedizione punitiva, contro l'ex alleato. Il 15 maggio le truppe austro-ungariche attaccarono il fronte del Trentino con una preparazione di artiglieria senza precedenti lungo tutto il settore italiano. Nono­stante Cadorna avesse avuto sentore mesi addietro dei preparativi di Conrad ed avesse rafforzato il settore del Trentino con nuove divisioni di fanteria, la superiorità delle truppe austriache fu decisiva per la battaglia. Mentre le truppe italiane erano inesperte, Conrad im­piegò divisioni provenienti dal fronte orientale e per questa ragione ampiamente collaudate. Il fronte italia­no cedette all'urto al centro dello schieramento e le truppe austriache s'inoltrarono nel settore italiano per circa venti chilometri rendendo attuale il pericolo di un'invasione del Veneto. In questa occasione Cadorna dimostrò le sue grandi qualità di soldato e di coman­dante. Con una freddezza eccezionale, per impedire il dilagare del nemico lungo la pianura veneta, spostò in pochi giorni dieci divisioni dal fronte dell'Isonzo e co­stituì un'armata di riserva pronta ad entrare in azione in caso di bisogno. Le truppe reagirono bene alle decise disposizioni del comandante e si ritirarono in ordine sulle posizioni prestabilite per evitare un accerchia­mento sull'Isonzo. Contemporaneamente Cadorna gettò nella battaglia tutte le riserve disponibili, le quali, con accanimento e valorosa azione, contrastarono e fermarono l'avanzata austriaca, allontanando il perico­lo di un ripiegamento generale dietro la linea del Piave. In quindici giorni di battaglia durissima gli Italiani ave­vano vanificato l'attacco nemico e il 3 giugno Cadorna annunciò che lungo tutta la linea del fronte era stato ristabilito l'equilibrio. Il 4 giugno, per alleggerire il peso sul fronte italiano, i Russi attaccarono in Galizia e nella Bucovina costringendo Conrad a ritirare le truppe dal Trentino per fronteggiare il pericolo sul fronte orientale. Cadorna approfittò della circostanza e alla metà di giu­gno passò alla controffensiva riconquistando in poche settimane i settori perduti. Il Paese reagì male alle notizie degli avvenimenti mi­litari poiché per la prima volta esso si rese conto del pericolo che una sconfitta tattica poteva significare l'invasione nemica. L'insoddisfazione latente, causata dai disagi di una guerra prolungata che non era stata opportunamente prevista, esplose all'improvviso coin­volgendo il governo e il presidente del Consiglio, accu­sato di indecisione e di non fare abbastanza per tenere unito il Paese in guerra. Di fatto la situazione economica era critica a causa soprattutto degli errori compiuti dal governo, che non aveva programmato nessuna mobili­tazione industriale alla vigilia del conflitto ed aveva lanciato il Paese in una guerra lunga e difficile seijza averne esatta cognizione. A ciò si aggiunga il contrasto gravissimo fra il governo e Cadorna, il quale, per la rigidità del carattere, creò a Salandra non pochi pro­blemi a causa dei violenti scontri col generale Vittorio Zupelli, ministro della Guerra. In occasione della Stra-fexpedition1 le polemiche si ripeterono e questa volta coinvolsero direttamente il presidente del Consiglio. Cadorna godeva di pessima fama fra i politici per il disprezzo che in più d'una occasione aveva mostrato per l'opinione dei ministri riguardo alle decisioni militari, fino al punto di non informare il governo dei suoi piani d'operazione. In questo caso, però, Cadorna aveva superato il se­gno. Salandra era rimasto molto scosso dallo sfonda­mento della linea di difesa e dalla decisione del coman­do supremo di arretrare il fronte lungo la linea del Piave. Aveva proposto, allora, trattandosi di una decisione che coinvolgeva anche la politica del governo, di convocare una riunione del gabinetto con i capi militari per valu­tare la situazione. Cadorna rifiutò di parteciparvi ri­spondendo molto seccamente che fin quando restava lui a capo dell'esercito nessuna decisione militare sa­rebbe passata al vaglio dei politici. Era una presa di posizione troppo dura che Salandra non poteva con­sentire se non voleva mettere in discussione lo stesso principio d'autorità su cui si reggeva la struttura stessa dello Stato. Infatti, il 30 maggio, il Consiglio dei ministri decretò la destituzione di Cadorna da comandante in capo dell'esercito, anche se essa non venne resa esecu­tiva per la mancanza sul momento di un sostituto che, potesse con la massima competenza e capacità sosti­tuirlo nell'incarico. Tuttavia la posizione di Salandra, appunto per questi contrasti con Cadorna, si era progressivamente indebo­lita. Se ne erano avuti i primi sentori già nei dibattiti parlamentari di marzo e di aprile, ma ora nella discus­sione di giugno la vecchia maggioranza neutralista in­cominciò a dare segni inequivocabili di palese insoddi-sfaziona L'azione contro Salandra la iniziarono gli in­terventisti, i quali erano i sostenitori di Cadorna, a cui si unirono molti neutralisti quasi a volersi vendicare della sconfitta loro inferta da Salandra un anno addietro al momento dell'ingresso in guerra[2] : il 10 giugno 1916 il governo fu battuto con 197 voti contro 158. A Salandra non restava che dimettersi e fu ciò che il presidente del Consiglio puntualmente fece, stanco e sfiduciato, il 18 giugno. Lo stesso giorno Vittorio Emanuele diede inca­rico di formare il governo a Paolo Boselli, il quale, il giorno successivo, 19 giugno, presentò al re la lista dei ministri. Era nato così il primo gabinetto di larga coali­zione come successione dell'ultimo governo puramente liberale che nei desideri di Salandra doveva portare a compimento l'unità d'Italia. 

1 L. Cadorna, La guerra alla fronte italiana, vol. I, Milano, 1921, p. 121.
2 Le battaglie dell'Isonzo furono in tutto undici e rispondevano alla strategia di attacco frontale in cui credeva Cadorna. La prima cominciò il 23 giugno e terminò il 7 luglio 1915 mentre l'undicesima iniziò il 17 agosto 1917 e terminò il 15 settembre.( Στο σύνολο οι μάχες του Isonzo ήσαν έντεκα και ανταποκρίνονταν στη στρατηγική της μετωπικής επίθεσης στην οποία πίστευε ο Cadorna .Η πρώτη ξεκίνησε στις 23 Ιουνίου και τερματίστηκε στις 7 Ιουλίου 1915 ενώ η ενδέκατη ξεκίνησε στις 17 Αυγούστου 1917 και τερματίστηκε στις 15 Σεπτεμβρίου.)

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